Implementare oggi un sistema qualità

Implementare oggi un sistema qualità

Autore: Gianantonio Posocco, consulente tecnico QHSE

Il passato (remoto)

Ci sono aziende che già c’erano arrivate, negli anni ’90, ad adottare un sistema secondo ISO 9001 (al tempo si chiamava 29001 ed era seguito da 29002 e 29003), per lo più realtà particolarmente rampanti, con una propensione al marketing piuttosto spinta. I sacrifici erano molti, specialmente nell’investire grosse somme (in quel periodo un SGQ poteva costare svariate decine di milioni di vecchie lire) e nel redigere montagne di documenti, su cui mettere una serie di firme.

Non aiutava pure il fatto che, a seguito del referendum sul nucleare del 1987, una parte notevole del think tank che nel frattempo s’era formato, fosse stato dirottato in questi ambiti impiegatizi, dunque gli approcci estremamente formali diventavano, per deformazione intellettuale, necessariamente sostanziali e parte degli aspetti valutativi particolarmente aggressivi: taluni ispettori, in quegli anni, avevano più una fama di inquisitori che di verificatori, dunque l’ottenimento di un certificato rappresentava una conquista a dir poco valorosa, al punto da volerlo spiaccicare sui teli dei camion, piuttosto che in tutto ciò che di visibile raccontasse dell’azienda.

Noi consulenti (che costituivamo per il “paròn” il grosso del problema: la spesa iniziale), dovevamo combattere con visioni distopiche su quanto dovesse essere descritto e quanto in seguito adottato dall’azienda cliente. Il motto “scrivi ciò che fai e fai ciò che scrivi” sembrava campeggiare su uno striscione, alla reception, e veniva ripetuto a martellate sulle malcapitate funzioni aziendali.

Ci sarebbero voluti decenni affinché le 6 firme necessarie per azionare una valvola, vitali per il contesto nucleare, si sublimassero in una semplice evidenza documentale.

I sistemi si rivelavano comunque troppo strutturati e rigidi, al punto da essere spesso trattati come qualcosa che “serviva per l’ISO”, una sorta di compliance e nulla più, un costo più che un beneficio.

Il passato (prossimo)

Con l’avvento delle Vision 2000 il salto s’è rivelato provvidenziale: ragionare per processi più che per attività seriali è stata la vera rivoluzione. Le ISO 9001 potevano, a ragion veduta, essere adottate anche da realtà produttive modeste, con una spesa relativamente ridimensionata, stante anche la concorrenza di mercato con cui le società di consulenza si sono trovate a fare i conti.

Il “bollino”, retaggio delle prime certificazioni, si stava pian piano convertendo in un lasciapassare per l’indotto nei confronti dei grandi gruppi, che premevano affinché i propri fornitori adottassero linguaggi coerenti con i propri standard.

E il boom di certificazioni s’è visto, come pure la nascita di una marea di enti accreditati a svolgere attività ispettiva di III parte, in parte qualificati e seri, in parte improvvisati e poco professionali.

Nella pletora delle aziende certificate però si stava insinuando un interrogativo: capire se il gioco valesse la candela o, per tradurre in soldoni (è il caso), se il costo del mantenimento di un SGQ certificato, si traducesse in un effettivo beneficio per la realtà aziendale. Tante aziende, una volta fatto il percorso, hanno abbandonato. Io personalmente, a chi mi chiedeva se valesse la pena di certificarsi, rispondevo: “Chiedi ai tuoi clienti se a loro interessa che tu lo faccia, poi decidi”.

Se non passa l’idea che un SGQ dovrebbe almeno pagarsi il costo, direi che l’impegno non vale la candela.

La versione 2008 della norma non ha portato particolari novità, solo qualche piccolo aggiustamento; nel contempo le aziende certificate sono maturate ed hanno cominciato ad introdurre i controlli di gestione che, fatalità, vanno parecchio d’accordo con la ISO 9001, se non altro le aiuta ad allestire una tabella degli indicatori che possa essere di utilità alla direzione per tener sotto controllo la redditività d’impresa.

Con la nuova release, la 2015, il tutto ha preso la piega definitiva con l’introduzione dell’approccio in ottica di risk management, che già diversi enti di certificazione avevano cominciato a diffondere, l’individuazione del contesto operativo e la definizione degli stakeholders.

Il presente

Le aziende che hanno resistito negli anni, a dotarsi di sistemi di gestione e che solo recentemente hanno intrapreso la strada dell’implementazione, lo hanno deciso in funzione di una serie di motivazioni, ben diverse da quelle che potevano essere le precedenti.

Con l’avvento della responsabilità amministrativa (v. 231) e da ulteriori pressioni (es. revisori dei conti), anche di tipo economico (polizze INAIL), stanno vedendo che ci sono effettivi margini per investire nei sistemi di gestione o, per meglio considerarli, “modelli organizzativi”.

Ed infatti, generalmente non si limitano ad implementare un sistema di gestione per la qualità, ma proseguono integrandolo con un sistema ambientale (ISO 14001) ed un sistema di gestione della sicurezza (ISO 45001), facendo diventare il SGQ un sistema operativo, su cui basare le ulteriori integrazioni.

Con la tendenza, spinta dal mainstream, di prendere in considerazione anche altri aspetti di cui fino a qualche anno fa nemmeno si parlava, ora si stanno creando ulteriori necessità verso nuovi percorsi evolutivi, quali gli impatti sulla sostenibilità, le garanzie sociali (es. parità di genere, welfare, ecc.) e simili, che però non sono ancora sorretti da standard internazionali condivisi.

La struttura documentale

In parallelo alle esigenze di voler dimostrare al mercato la propria virtuosità, le aziende fanno però i conti con le problematiche legate ai supporti informativi su cui basare i propri sistemi: scrivere procedure ed istruzioni sembra essere diventata attività noiosa, oltre che laboriosa. Oltretutto, nell’era degli smartphone e dell’Industria 4.0, pensare di andare a leggere una procedura scritta sembra essere diventato anacronistico.

In effetti ci sono alternative interessanti, su questo versante, che consentono di creare una struttura informativa snella e facile da redigere e manutenere.

VISTRA, già da alcuni anni, propone alla propria clientela un supporto informatico ai sistemi di gestione con approccio grafico, con una struttura minimale ma che consente di mappare con facilità e precisione i propri processi e rappresentare visivamente le procedure e le istruzioni operative, facilitandone nel contempo l’aggiornamento e la distribuzione in modo intuitivo e sicuro.

La piattaforma PYX4 è uno strumento disponibile su cloud, dunque portabile facilmente su varie piattaforme, che unisce una navigabilità rapida tramite un database e un sistema di hyperlink che consentono, agli operatori che vi interagiscono, di disporre velocemente delle informazioni di cui necessitano.

Questi sono esempi di rappresentazione di processi e delle relative procedure.

blankFigura 1- Mappa generale processi

 

 

Figura 2- Processo di miglioramento continuo

 

 

Figura 2- Processo di miglioramento continuo

 

 



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