Il Rischio rumore: è ancora attuale?

“Ma come?! Di nuovo? Ma se abbiamo fatto le misure lo scorso anno!”

Riassumo con queste poche parole quello che leggo molto spesso negli occhi dei datori di lavoro (e che mi sono state anche dette in forma più colorita) ai quali riporto la necessità di rifare la valutazione del rumore perché sopraggiunta la scadenza temporale riportata sul testo unico.

Eh sì, perché essendo il rumore un agente fisico e rientrando nell’ambito delle valutazioni dei rischi derivanti da esposizioni ad agenti fisici – D.Lgs. 81/2008, Titolo VIII, Capo II –  necessita di un aggiornamento della valutazione del rischio almeno quadriennale, indipendente dagli eventuali mutamenti che potrebbero aver reso la valutazione obsoleta, ovvero, quando i risultati della sorveglianza sanitaria rendano necessaria la sua revisione.

Ma è davvero ancora impattante il rumore sulla salute dei lavoratori?

Nel documento intitolato “IPOACUSIA DA RUMORE UN PROBLEMA DI SALUTE ANCORA ATTUALE SUL LAVORO” del 2018, l’INAIL riporta che nelle statistiche assicurative, la voce di malattia Effetti del rumore sull’orecchio interno – ipoacusia da rumore, trauma acustico è una delle patologie professionali più frequentemente denunciate, sebbene con una tendenza in diminuzione, che vede i casi accertati positivi passare da 2.730 nel 2011 a 1.923 nel 2016 e trova nei settori delle costruzioni e quello della lavorazione dei prodotti in metallo (seguiti da carta e legno), alta numerosità dei casi e, nello stesso tempo, una specificità dell’associazione all’ipoacusia da rumore.

Ricordo che l’ipoacusia è un effetto del rumore sul sistema uditivo che porta ad una perdita irreversibile di udito ed è in diretta relazione con il livello sonoro e la durata dell’esposizione ma dipende anche da altri fattori come la suscettibilità individuale, la variabilità interpersonale, l’età del soggetto, pregresse e/o concomitanti patologie dell’orecchio.

L’ipoacusia non è comunque l’unico danno derivante dall’esposizione a rumore, in quanto sono riportati in letteratura altri effetti sulla salute che vanno ad interessare la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca, il sistema nervoso e l’apparato digerente, finanche il rischio di decadimento cognitivo in età avanzata, collegato all’insorgere dell’ipoacusia.

La valutazione del rischio è fondamentale

È quindi fondamentale effettuare correttamente la valutazione del rischio, non solo per consentire l’individuazione delle misure di prevenzione e protezione ma anche per permettere al medico competente di attuare concretamente la sorveglianza sanitaria, andando a ricercare e raccogliere eventuali sensibilità personali dirette ed indirette al rumore.

Se qualcuno si stesse chiedendo se è sempre necessario effettuare la valutazione del rumore, la risposta è affermativa, intendendo con questo, non che sia mandatorio fare sempre le misure del rumore, ma che sia attuato il processo di ricerca e valutazione del rischio (come specificato dall’art. 190), con possibile giustificazione del datore di lavoro secondo cui la natura e l’entità dei rischi non rendono necessaria una valutazione più dettagliata, qualora non emergesse la presenza di sorgenti di rumore significative.

Se invece a seguito del processo valutativo può fondatamente ritenersi che i valori soglia possano essere superati (valore inferiore di azione), è necessario effettuare le misure di rumore ad opera di un tecnico competente in acustica e mediante l’uso di fonometri professionali idonei.

Si arriva quindi alla necessità di effettuare una campagna di misure del rumore negli ambienti di lavoro, con l’obiettivo di caratterizzare l’esposizione giornaliera (o settimanale) dei lavoratori, individuando il valore di rumore che rappresenta il livello di rischio professionale e poter quindi soddisfare la richiesta di identificare e adottare le opportune misure di prevenzione e protezione.

In effetti c’è ancora qualcuno che pensa sia sufficiente avere le schede di esposizione giornaliera (settimanale) al rumore dei lavoratori per essere a posto con la richiesta legislativa, quando invece l’obiettivo espresso chiaramente dall’art. 181 e ripreso dall’art. 190 è quello di individuare e adottare le misure di prevenzione e protezione.

Si parte dalla richiesta di eliminare il rischio alla fonte o ridurlo al minimo e successivamente, qualora i livelli di esposizione dei lavoratori siano superiori ai valori di azione definiti nel testo (inferiori, superiori, limite), adottare ulteriori misure, quali ad esempio uso di dispositivi di protezione dell’udito, informazione e formazione, sorveglianza sanitaria.

Ed è proprio in ambito di attuazione di misure per l’eliminazione del rumore o la sua riduzione al minimo che ho riscontrato le maggiori criticità in ambito aziendale, in quanto frequentemente vanno ad incidere sul lay-out aziendale con la necessità di spostare/dividere fisicamente lavorazioni, segregare macchine/impianti oppure adottare sistemi per attenuare la propagazione del rumore negli ambienti di lavoro, tutti interventi che generalmente comportano importanti investimenti di denaro e che le aziende faticano a programmare.

Sistemi di DPI

Restando in ambito di criticità, ci tengo a riportarne una nella quale mi capita ancora di imbattermi frequentemente che riguarda i dispositivi di protezione individuale, nello specifico l’adozione di DPI con un valore di attenuazione che sulla carta è sufficiente a rendere il DPI “adeguato” ma che dall’osservazione sul campo risulta inadeguato per le modalità d’uso. Mi sono ritrovato più volte a confrontarmi con datori di lavoro e RSPP sulle modalità di scelta dei DPI e sulla necessità di considerare, oltre alle caratteristiche tecniche di attenuazione, anche le lavorazioni effettuate dai lavoratori, l’ambiente di lavoro e la facilità d’uso. Se l’obiettivo è quello di fare in modo che i DPI attenuino il rumore mantenendo all’interno del condotto uditivo livelli di rumore contenuti (e obbligatoriamente inferiori al valore limite) è necessario che siano indossati correttamente per tutta la durata dell’esposizione e questa condizione non viene sempre rispettata anche a causa del modello di DPI. Prima di decidere il dispositivo da fornire in maniera definitiva, è bene quindi fare un’analisi più approfondita che valuti anche le specifiche modalità di lavoro e di utilizzo, non ultime le sensibilità soggettive dei lavoratori perché può capitare che il DPI fornito provochi dei disagi fisici/ psichici che, se non rilevati e risolti, alla lunga possono portare il lavoratore a non utilizzare la protezione con la necessaria continuità.

In quest’ottica è sacrosanta la lettera c) del comma 1 dell’art. 193 che richiede la consultazione dei lavoratori o dei loro rappresentanti nella scelta dei dispositivi di protezione individuale dell’udito che consentono di eliminare il rischio per l’udito o di ridurlo al minimo.

Un ultimo appunto sull’uso dei DPI: è falso che se i dispositivi di protezione individuale sono stati consegnati ai lavoratori e loro non li usano correttamente e con continuità, è un problema dei lavoratori e non del datore di lavoro. A parte la perentoria richiesta dell’art. 193, comma 1, lett. b) nel quale è riportato che il datore di lavoro deve esigere che i lavoratori utilizzino i dispositivi di protezione individuale dell’udito pena la sanzione arresto da tre a sei mesi o ammenda da 2.457,02 a 4.914,03 euro, l’uso scorretto si traduce nel tempo in danno uditivo che poi deve essere risarcito dall’INAIL, il quale si può rivalere sull’azienda in caso di mancata attuazione degli obblighi di legge. In questo ambito specifico sono determinanti la formazione comprendente anche l’addestramento sulle corrette modalità d’uso e la vigilanza da parte dei preposti.

Un efficace supporto al datore di lavoro in ambito di valutazione del rumore non riguarda solo la corretta valutazione del rischio con la misurazione del rumore, il calcolo delle esposizioni dei lavoratori e l’elencazione delle misure di prevenzione e protezione in essere ma si traduce anche nell’individuazione di valide soluzioni per la gestione quotidiana del rischio.

 

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